Chi decide le competenze e i modi di pensare? Ci possono essere diverse competenze e modi di pensare che non siano quelli desiderati o imposti dalla classe di governo? Il nostro timore è che si crei una oligarchia di politici/pedagogisti/burocrati che diventi portatrice di una visione autocratica del mondo e del sapere, o meglio della comunicazione delle modalità del sapere
di Fabrizio Reberschegg
11 Novembre 2014 (3.4 MiB, 1460 downloads)
Nel documento sulla “Buona Scuola”, nella parte dedicata ai docenti su formazione e carriera nella“buona scuola” si sposa una visione della didattica e della pedagogia che lascia alquanto perplessi. Tutto ciò inserito in una prospettiva di una scuola che deve dialogare con il mercato del lavoro diventando strumento di superamento della disoccupazione diventata ormai fenomeno strutturale nell’attuale crisi economica. Agli insegnanti si chiede “che non insegnino solo un sapere codificato (più facile da trasmettere e valutare), ma modi di pensare (creatività, pensiero critico, problem-solving, decision-making, capacità di apprendere), metodi di lavoro (tecnologie perla comunicazione e collaborazione) e abilità per la vita e per lo sviluppo professionale nelle democrazie moderne”.
Dando per scontato che i docenti non siano in grado di possedere le competenze sufficienti e necessarie per insegnare modi di pensare, metodi di lavoro e abilità per la vita professionale si prospetta un vasto piano di formazione per tutti di docenti che di fatto diventerebbe obbligo di servizio. Ora i problemi che si pongono sono molto complicati. In primis che cosa significa superare il “sapere codificato”e insegnare modi di pensare? Poi, cosa significa la vita professionale nelle democrazie moderne? Infine, chi dovrebbe essere titolato a formare i docenti essendo in grado di possedere saperi e competenze per definire chiaramente i percorsi di approfondimento atti a raggiungimento di obiettivi così ambiziosi?
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