Riflessioni intorno alla didattica a distanza

A Hiroshima i soccorritori raccontavano della loro angoscia di fronte alla scelta di chi salvare e chi lasciar morire, nell’impossibilità di salvare tutti, e del loro senso di colpa nei confronti di chi non avevano potuto salvare, dato che inevitabilmente non si poteva che soccorrere una sola persona per volta: scelta, ovviamente, contraria ad ogni umanità, e tuttavia meno inumana di quella di chi, in nome di un malinteso senso di giustizia e di uguaglianza, avesse scelto di non soccorrere nessuno e di lasciar morire tutti, per non far torto a nessuno. Cosa che, ovviamente, nessuno ha fatto.

Summum ius, summa iniuria, verrebbe da dire in casi come questo: fatte le debite proporzioni, mi pare che lo stesso discorso si possa fare a proposito della DAD e dell’opportunità di ricorrervi in circostanze eccezionali come quelle attuali.

Condivido punto per punto le obiezioni di Massimo Bonetti e Antimo Di Geronimo in proposito, soprattutto perché formulate da persone che in materia informatica e giuridica sanno quel che dicono assai più di me e della maggior parte di noi docenti: tuttavia, non posso non associarmi all’opinione di Stefano Battilana che, con tutte le riserve di cui sopra, il ricorso alla DAD nell’attuale situazione sia per noi docenti una scelta obbligata e ineludibile. Sottolineo l’intenzionale ossimoro ‘scelta obbligata’: non lo facciamo perché è un obbligo emanante dalla stessa Costituzione, come qualcuno pretenderebbe (anzi, è vero, con Antimo, esattamente il contrario), ma perché è una nostra libera scelta dettata dalla eccezionalità della situazione e dalla nostra coscienza ed etica tout court prima ancora che professionale.

Ma al di là di questa già per sé stringente motivazione, credo che non sottrarsi non ad un obbligo costituzionale, giuridico o contrattuale inesistente, ma ad un imperativo di coscienza come quello a cui ci chiama l’eccezionalità della situazione, da parte di chi pur conosca e seguiti a rivendicare i propri diritti costituzionali, giuridici e contrattuali senza rinnegarli, come i tanti di noi che scelgono pro bono discipulorum e non certo per prona obbedienza a presunti ordini superiori, di accollarsi il defatigante onere di una DAD improvvisata e sorretta da una logistica del tutto inadeguata alla bisogna per le miopi (o forse dall’interessato occhio lungo pro bono suo) scelte privatolatriche ricordate da Massimo e Fabrizio Reberschegg, tali, peraltro, come ben ricordava Antimo, da aggravare anziché sanare la cronica inadempienza della scuola italiana nei confronti dell’art. 34, c. 1 della Costituzione (“La scuola è aperta a tutti”) accrescendo anziché rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana” (a meno che, come opportunamente osserva Antonio Deiara in un suo recente contributo su “Orizzonte Scuola.it”, con tutte le dovute riserve, peraltro, sull’effettiva valenza didattico-educativa della DAD, laddove ricorda che “I tutorial, oggi largamente presenti su Internet, non costituiscono una modalità di insegnamento ma di “ammaestramento”. L’elemento educativo e quello formativo posti in essere dalla Scuola, rientrano in altre categorie pedagogiche e didattiche. In conclusione, la Didattica a distanza non può sostituire, se non per brevissimi periodi e cum grano salis, il dialogo educativo-formativo e le esperienze concrete di apprendimento che caratterizzano la VITA SCOLASTICA di docente e discente. Socrate docet (e Asimov narra)… “, Se il Parlamento ritiene che la nuova religione pedagogico-didattica debba diventare obbligatoria, si studino con estrema attenzione tempi e modalità, si obblighino le famiglie a far “frequentare” i figli, e si inseriscano le nuove modalità a tempo della funzione docente nel nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Scuola. Dimenticavo: nel rispetto della Costituzione, si prevedano anche computer e connessioni a costo zero per tutti gli alunni, NESSUNO ESCLUSO!), possa essere una possibile carta da giocare per cercare di far entrare nella testa di una categoria ai cui occhi è stata sventolato per anni lo straccio rosso di una classe docente infingarda e privilegiata, che lavora solo 25, 24 o, horresco referens, 18 ore alla settimana, non ha una sacrosantissima minchia da fare nei suo dorati pomeriggi d’ozio e si gode tre mesi di immeritate vacanze, che forse questa narrazione mainstream così graziosamente e interessatamente bipartisan non era poi una fotografia così fedele del reale stato delle cose e chissà, hai visto mai, sia detto con tutte le cautele e i toccamenti del caso, che magari nella testa fino ad oggi così dura, così impermeabile, così refrattaria alle ragioni di noi insegnanti l’idea che tutti i mali della scuola, che certo sono legione, muovano dalla ‘vil razza dannata’ di noi docenti potrebbe cominciare a mostrare qualche crepa, e chissà, magari qualche ‘genitore intelligente’ (dopo la ‘scelta obbligata’, oggi con gli ossimori siamo a scialare) potrebbe aprire gli occhi e cominciare a cercarne i responsabili dove realmente sono. Tanto che  – permetteteci a questo punto di sognare, e di sognare in grande, altrimenti che minchia di sogno è? – potrebbe magari perfino aprirsi una nuova era capace di restituire un senso a quei famigerati decreti delegati di cui qualcuno ha giustamente scritto che “molte ombre hanno appannato la ratio di quella scelta storica: abbiamo assistito ad una progressiva erosione di spazi di libertà, prima unicamente gestiti dall’istituzione scolastica; c’è stata un’indubitabile, e spesso molesta, pretesa di certi genitori di intromettersi anche in questioni che restano in carico al personale scolastico… La crescente ingerenza di alcuni genitori e la pavida ritrosia a porvi un freno da parte di dirigenti scolastici sempre più ostaggio degli stakeholders, avallata da decisori politici più attenti al loro tornaconto elettorale che non ai principi democratici, ha creato in questi anni, in particolare negli ultimi dieci o vent’anni, evidenti storture, che hanno riportato in auge le critiche all’intero impianto dei decreti delegati. Da più parti si sono levate voci in favore di una riforma degli organi collegiali per rispondere ad una accresciuta ostilità della categoria verso lo strapotere dei genitori. Senza arrivare a dover ricordare le minacce e le aggressioni a cui certi colleghi sono stati e continuano ad essere sottoposti, è indiscutibile la pressione che molti di noi avvertono quando si relazionano con le famiglie, e questo non fa certo bene a quello spirito di cooperazione che dovrebbe essere alla base di tale rapporto. Impossibile realizzare un’autentica alleanza educativa tra soggetti che, seppure a parole perseguano lo stesso fine, non si sentano poi nei fatti azionisti alla pari. Tale soggezione “psicologica” degli operatori scolastici è il risultato di anni di svilimento della funzione docente e del valore della mission del sistema scuola in toto. Occorre riguadagnare credibilità per non vedere mortificato il nostro lavoro quotidiano e per poter davvero interagire positivamente con i nostri interlocutori naturali, che sono proprio gli studenti e le loro famiglie. Fino a quando non troveremo un equilibrio in questo complesso rapporto non saremo neanche in grado di porre un freno ai problemi veri che affliggono la scuola italiana, i bassi livelli di istruzione, la dispersione, il bullismo, l’emarginazione.”

Perché non provare a cogliere questa occasione che virus e DAD ci offrono per riacquistare, o forse, ahimè, acquistare per la prima volta agli occhi dei genitori quella credibilità che sappiamo benissimo di meritarci, e che stiamo dimostrando dalla trincea in cui scegliamo di restare nonostante i piccoli Mireau o Leone o Cadorna che da viale Trastevere in giù per li rami hanno la ridicola e insussistente pretesa di comandarci e pretendere da noi l’obbedienza perinde ac cadaver?

Perché, comunque, la battaglia per una vera ‘buona scuola’ a misura di discenti e docenti non potremo mai vincerla, se non avremo dalla nostra parte quella componente oggi del tutto minoritaria dell’opinione pubblica che, riprendendo l’ossimoro già usato in precedenza, possiamo chiamare la ‘lobby’ (termine sgradevole, ma conquiste come quella su unioni civili e matrimoni gay ci insegnano che non tutte le lobby, elettorali, ça va sans dire, vengono per nuocere) del ‘genitori intelligenti’, quelli che credono più a quello che vedono coi propri occhi che alle interessate narrazioni di politici e maitres à penser d’apparato, e che oggi, grazie all’innegabile ‘vocazione missionaria’ e, ahimè, ancora una volta supplente delle assenze di chi di dovere, mostrata dalla categoria docente potrebbe finalmente ingrossare le proprie file.

Perché una cosa deve essere chiara, e forse coronavirus e DAD, paradossalmente, potrebbero giocare per noi agli occhi di chi vuole aprirli per vedere: è grazie al tanto vituperato e da lunga pezza dileggiato corpo docente che ancora c’è un simulacro di scuola, nonostante l’emergenza, come da anni, ormai, è grazie agli insegnanti e al loro, ahimè, spirito missionario che la scuola c’è nonostante tutto.

Nonostante i tagli, nonostante le dissennate riforme che hanno smantellato la scuola pubblica col pretesto di rinnovarla, nonostante le sempre più soffocanti pastoie burocratiche camuffate da nuove frontiere didattiche e i sempre più risicati margini di autonomia professionale, in spregio al principio costituzionale della libertà d’insegnamento, nonostante la progressiva impiegatizzazione selvaggia della categoria, sempre più straniata dalla carne viva delle discipline dal proliferare di sempre nuove e sempre più vuote parole d’ordine della didattica del Terzo Millennio, nonostante i risibili stipendi e il sempre maggior discredito sociale della figura dell’insegnante (e del pubblico impiego tout court) e la sua sempre crescente subordinazione all’imperio di una dirigenza sempre più prona alla volontà di un’utenza che considera il docente alla stessa stregua del cameriere che la serve al ristorante.

Eppure, nonostante tutto questo, la scuola c’è ancora, grazie a noi insegnanti.

E lo stanno dimostrando ora quei tanti di noi che si accollano l’onere di una DAD che, al di là delle sacrosante riserve metodologiche di chi giustamente sostiene che una ‘classe virtuale’ non è e non può essere che un pallido simulacro di classe, in cui gli alunni, come nella caverna di Platone, altro non vedono che l’ombra delle cose, ci si chiede di praticare con una logistica che, per le scelte privatolatriche che dicevamo, ci riporta alle cesoie che non tagliano di Lussu o all’equipaggiamento estivo dell’ARMIR, salvo ricordarci che il ‘Formicaio’ dev’essere preso, whatever it takes.

E davvero, certe ordinanze ministeriali corrusche di presunti obblighi costituzionali e pieni poteri ai propri generali, leggi DS, nell’applicazione di una nuova specie di ‘legge marziale’ sub specie scholastica evocano davvero, sull’onda di un ormai straripante quanto improprio lessico di ‘guerra’ al virus, scenari da “Orizzonti di gloria”, dove piccoli DS di fresca nomina crescono all’ombra rassicurante di MIUR e ANP vestendo i panni marziali di un piccolo generale Mireau sbavante minacce di sanzioni a chi dalla trincea della DAD non si pieghi al suo volere sovrano in tema di modalità e posologia di somministrazione del taumaturgico farmaco infodidattico: il tutto, spiace dirlo, con la benevola benedizione di un ministro che solo qualche anno fa, ai tempi della famigerata 107, costruiva le fortune proprie e della propria formazione politica promettendo bordate contro la deriva dirigista della ‘Buona Scuola’ dei presidi-sceriffo.

Quello che, comunque, deve essere chiaro è che se il già disastrato edificio dell’istruzione sta ancora in piedi e anche oggi, nei tempi emergenziali del coronavirus, un simulacro di didattica si sta facendo, non è certo grazie alle magnifiche sorti e progressive della tecnodidattica e della DAD, che nel presente stato di necessità, lo ripetiamo, è e rimane l’unica via praticabile e dunque allo stato ineludibile, ma che, lo ricordava Stefano, sta funzionando, per quel poco che può funzionare, soprattutto laddove  i DS hanno lasciato briglia sciolta ai docenti, a dimostrazione che l’autonomia professionale rimane la via maestra per una scuola che non c’è e che magari, chissà, un giorno potrebbe esserci: ovviamente, sottolineando che se una parvenza di scuola ancora c’è il merito è di questa ‘vocazione missionaria’ dei docenti, che non deve ancora una volta essere la stampella di uno zoppo che non ha nessuna intenzione di provare a tornare o magari a cominciare a camminare sulle proprie gambe, e già con Aprea, Centemero, Fasiolo, Giuliano, Gavosto e i tanti profeti della neodidattica del Terzo Millennio cavalca l’onda montante del nuovo ordine infodidattico della finalmente prossima, pronubo Mister Crown, Scuola dei Millennials, che s’avanza tronfia e pettoruta a colpi di soft skills, di coding alle elementari, bibiennio alle superiori e laurea biennale abilitante all’Università.

Ovvero, l’indocta ignorantia al potere (noi preferivamo la fantasia, declinata con la grammatica di Rodari).

— Un membro della direzione provinciale