L’orgia del potere (2001)

di Vittorio Vandelli, “Questa scuola non è un’azienda! – I racconti del prof. Bingo”,
Ed. Pendragon (vittorio-vandelli.com)

La figura del preside-manager nasce con l’idea della scuola-azienda. In quest’ ottica, i presidi sono stati tutti nominati ‘dirigenti scolastici’ ope legis e gli insegnanti avrebbero dovuto essere divisi in categorie di merito. Per qualsiasi persona di buon senso, tranne che per i governanti del nuovo millennio, applicare le regole di una azienda (che vende prodotti, cerca di soddisfare clienti, fa pubblicità e compete sul mercato) alla scuola (che deve ‘solamente’ educare le giovani generazioni) è una semplice follia. È come applicare le regole del gioco del calcio a un altro sport perché il football è lo sport più ricco e famoso, e quindi le sue regole vincenti vanno applicate in qualsiasi contesto.

L’aula magna era splendente nel suo nuovo allestimento come dovesse ospitare una di quelle conventions mediologiche portate alla ribalta dal carismatico cavaliere, il grande fratello delle comunicazioni era solito apparire in tali conventions in tutto il suo splendore per lanciare al popolo le sue idee telegeniche da uomo qualunque che andava ripetendo da anni con retorica neo-gerarchica.
La sala era affollata di colleghi in piedi accanto ai loro posti, in evidente stato di eccitazione, come se attendessero l’inizio di un rito orgiastico. Un passaggio rialzato coperto da un tappeto rosso collegava il lato in cui si accedeva all’aula magna a quello opposto lungo la parete del quale il palcoscenico riservato ai conferenzieri, anch’esso ricoperto per l’occasione di rosso, era occupato lateralmente dai collaboratori del preside. Al centro una protuberanza di tale palcoscenico a forma di semicerchio si estendeva verso la audience come la prua di una nave verso il mare, formando il pulpito da cui il leader di turno avrebbe pronunciato il proprio discorso trovandosi in mezzo alla folla ma al tempo stesso da essa distaccato, nella stessa posizione in cui il monomaniaco capitano Achab, a bordo del Pequod, era solito eccitare con la sua eloquenza diabolica la propria ciurma alla caccia spietata di Moby Dick.
A un tratto una musica suadente si sparse per l’aula aumentando gradatamente di volume: era una melodia nuova ma coniata su motivi noti all’orecchio popolare, quasi un inno adatto a una squadra di calcio. Le tende davanti all’ingresso furono scostate e il preside-manager, sospinto dalla musica, comparve nella sua alterità con un sorriso esagerato stampato sul viso e avanzò lentamente lungo la passerella. Aveva in mano tavole di cartone modellate sull’iconografia classica dei comandamenti che il signore offrì a Mosè sul Sinai e il passaggio in rosso aperto in mezzo alla folla ricordava le acque del mare quando si erano aperte per far passare il popolo eletto. Con sguardo austero ma sempre sorridente il preside-manager avanzò verso il palco mentre il collegio dei docenti, come scosso da scariche elettriche, si agitava e fibrillava, protendendosi verso il lidér maximo con le braccia tese, ognuno in cuor suo ansioso ma speranzoso di ottenere una tavola. Gocce di sudore sformavano il trucco delle colleghe che avevano speso dall’estetista la metà dello stipendio per l’occasione mentre i loro seni cadenti sobbalzavano impercettibilmente. Molte indossavano gonne lunghe con spacchi audaci noncuranti del loro sfacelo, l’asessuale tailleur quotidiano per un giorno lasciato nell’armadio. Gli sparuti uomini avevano invece per l’evento lasciato a casa i maglioni a rombi e indossavano giacche e cravatte che davano loro un aspetto impiegatizio da terziario piccolo-borghese. La marcia trionfale portò il preside-manager a raggiungere il palco dove strinse, con la forza esagerata fornitagli dall’adrenalina che la situazione gli faceva produrre, le mani dei collaboratori per poi raggiungere il pulpito sopraelevato, appoggiare le tavole su un tavolino accanto e avvicinarsi al microfono dotato di effetto surround per spargere il verbo in ogni angolo dell’aula magna. L’intensità delle luci scemò leggermente e dietro al pulpito, sulla enorme parete ricoperta da un gigantesco schermo, le immagini dei padri spirituali dell’Istituzione comparvero all’improvviso. Da un lato una gigantografia videoproiettata di un signore con i baffetti in atto di pontificare e quella del nostro ministro in carica, con un sorriso paternalistico e rassicurante, dominavano la cena. Dall’altra parte la triade confederale, trinità laica a difesa dei lavoratori dell’Istituzione, riempiva lo schermo. Al centro l’immagine in diretta del preside-manager completava l’affresco.
Io ero seduto nel mio solito posto, sull’ultima sedia dell’ultima fila sulla destra, separato dal resto della pazza folla. Guardavo sconsolato lo scenario e sentivo dentro di me lo spirito ribelle del giovane Holden e quello di Huck Finn, che non voleva lasciarsi adottare e civilizzare dalla zia Polly, che diceva: I can’t stand it. I been there before.
Quando il preside-manager cominciò a parlare un silenzio carico di aspettative si sparse per la sala:
“Cari docenti…mi spiace di non potervi più chiamare colleghi…Cari docenti, finalmente oggi anche per noi la parola carriera acquista valore…” disse con l’orgoglio di chi ha appena raggiunto ope legis una posizione di potere e di stipendio ineguagliabili.
Un urlo gioioso si alzò dal collegio.
“…non starò qui a ripetere cose che ormai tutti sappiamo. L’uscita del docente dalla torre d’avorio del solo sapere manualistico, dalla palude stagnante e demotivante dell’uguaglianza, l’energia produttiva che la fine del posto garantito libera, la competizione di Istituto contro Istituto, di docente contro docente, l’ingresso dei privati e del loro mercato nella corrida scolastica, lo studente-cliente soddisfatto o rimborsato, il controllo sull’operato del singolo docente che non potrà più agire indisturbato a proprio piacimento ma dovrà applicare i metodi approvati dall’Istituzione, sono realtà che ormai conoscete benissimo. Sono scelte innovatrici, sono la politica di chi guarda avanti, di chi sta al passo con i tempi, anzi li rincorre per colmare il divario con il tessuto sociale, il mondo del lavoro e la società civile che il nostro immobilismo precedente ha creato…”
Annichilito sulla mia poltrona ascoltavo brandelli di quella retorica per alcuni secondi, poi mi distraevo guardando incredulo lo spettacolo indecente che il Collegio dei Docenti forniva e di nuovo ritornavo ad ascoltare pezzi dell’intervento del nostro dirigente, incerto quale dei due spettacoli valesse la pena di seguire.
“…ora anche voi dovrete contribuire alla creazione e quindi alla gestione manageriale del nostro Istituto, da ora in competizione con tutti gli altri in modo permanente, nell’ottica della autonomia, autonomia che significa autogoverno e autogestione, connubio con le forze produttive del paese che finalmente ci guideranno nelle nostre scelte dall’alto della loro esperienza nel campo del business: benvenuti quindi anche a voi nella new economy, nel commercio globale, in quel mondo splendente in cui le contestazioni di quelli straccioni che hanno invaso le strade di Seattle e Washington non trovano ascolto.
All’interno di questo processo noi siamo qui oggi per scrivere un’altra pagina importante del nuovo che avanza: avete già avuto l’occasione di migliorare la vostra vita moralmente ed economicamente grazie alle commissioni di cui potete entrare a far parte per riorganizzare e ristrutturare l’Istituto (per la sua “riconversione” se mi passate il temine preso a prestito dalle privatizzazioni di enti pubblici), per elaborare progetti che miglioreranno l’offerta formativa per studenti e insegnanti (e che definiranno e personalizzeranno il nostro ormai leggendario P.O.F., il rivoluzionario Piano Offerta Formativa), e per pubblicizzare le nostre meraviglie. Avete avuto la possibilità di diventare funzione-obiettivo, avrete tra poco il concorsone che vi permetterà di guadagnare un salario profumato continuando la vostra normale attività didattica, che ormai, come sappiamo, non è che una delle funzioni che il docente moderno deve assolvere.
Che cosa vi manca per essere felici?
Se tutto ciò non vi sembra sufficiente, io oggi sono qua per offrirvi un’altra meravigliosa possibilità: ebbene si, vi offro senza mezzi termini il Piano delle Offerte Formative per Docenti. Un P.O.F. tutto per voi!, nell’ottica della costruzione di occasioni di crescita professionale dei docenti. Corsi di aggiornamento interni al nostro Istituto, di importanza fondamentale per migliorare la nostra professionalità in quanto Io stesso con l’aiuto delle figure-obiettivo ho posto in essere tali corsi calibrandoli sulle nostre esigenze: modularità, valutazione, strumenti multimediali, qualità, informatica, flessibilità oraria, gestione dei conflitti ecc. sono lì solo per voi. Non per tutti, purtroppo…o per fortuna. Coloro i quali riusciranno a far parte del numero necessariamente limitato di docenti che potranno formarsi tramite tali corsi, poiché se ci deve essere competizione e selezione essa deve inevitabilmente dividere ruoli e livelli della vostra categoria, potranno poi entrare di diritto a far parte delle commissioni di Istituto, cardine e cuore delle politiche del nostro Istituto modernamente autonomo. Essi faranno il vero salto di qualità, entrando in quella casta, in quella élite di eccellenza che l’Istituto vuole creare ed avere come propria classe dirigente, in contrasto con il semplice lavoratore intellettuale, quel professore vecchio stampo la cui funzione rimane solamente quella di fare lezione, il quale sarà fatalmente destinato a far parte della fascia più bassa della categoria, obsoleta rimanenza di un passato fortunatamente ormai lontano…”
La mia mente volò di nuovo lontano, sui verdi pascoli dell’abbondanza di un mondo scomparso e incontaminato, fin quando quel silenzio carico di tensione esplose in un applauso fragoroso che mi riportò alla realtà. La folla si accalcò sotto al palco, affamati che chiedevano pane, mentre l’inno da stadio riprendeva e si mischiava con l’eccitazione, i versetti isterici e gli applausi. Trucchi sfatti rivelavano ormai maschere grottesche, gonne strappate dalla calca facevano fuoriuscire glutei e cosce cellulitici; cravatte allentate, bottoni strappati e giacche slacciate mostravano pance strabordanti. Mi sembrò di notare anche un risveglio della sessualità sopita del corpo docente: alcune professoresse muovevano il basso ventre al ritmo della musica, il loro volto era preda di estasi e stravolgimento mentre sospiri in regolare crescendo uscivano dalle loro labbra mal definite dal rossetto sbavato. Protuberanze insospettate premevano contro i pantaloni di alcuni colleghi. L’immagine ingigantita del preside-manager sullo schermo fece segno alla folla delirante di calmarsi e, dopo vari tentativi, la sua voce surround riverberò ancora per l’aula magna.
“Cari ex-colleghi, mi rendo conto del terremoto epocale che sta per sconvolgere non solo la vostra professione, bensì anche la vostra vita. Capisco che nessuno di voi voglia seguire le orme del povero professor Bingo, che nella sua sfida conservatrice alle regole portanti della nuova Istituzione, ha solamente danneggiato se stesso, la sua professionalità, la qualità della sua vita e la sua reputazione…”
Rumori di denigrazione e qualche fischio si levarono dalla platea al mio indirizzo e tutti voltarono i loro volti trasfigurati dall’eccitazione per guardarmi. Rimasi immobile fuori e impassibile dentro, rivestito nell’anima da una corazza di acciaio.
“Ebbene, cari ex-colleghi, capisco che voi fremiate perché io ho qui le schede dei corsi di aggiornamento interni, i nominativi degli aventi diritto a parteciparvi e le commissioni di Istituto alle quali tali corsi danno accesso. Ho analizzato assieme ai vostri colleghi figure-obiettivo i vostri curricula e assieme abbiamo fatto selezione e scelto la casta d’eccellenza…”
Il silenzio questa volta fu totale, la suspance tangibile nell’aria. Si abbassarono le luci e una spotlight illuminò il preside-manager che si stava avvicinando al tavolo su cui giacevano le tavole con i comandamenti da distribuire agli eletti. Le braccia protese dei colleghi formavano un surreale saluto romano mentre titoli suadenti mi giungevano all’orecchio: “La didattica per moduli”, “Il coordinatore del consiglio di classe”, “Come insegnare ai discenti a valutare gli insegnanti”, “L’approccio gestaltico libera sinergie che pongono in essere strategie cognitive mirate” furono gli ultimi titoli che sentii dalla voce surround poiché per sopravvivere estrassi i sonetti shakespeariani e mi immersi in quel pentametro giambico che parlava, di vita, di natura, di scrittura e di arte in cerca di un po’ d’amore e di umanità.

da: Vittorio Vandelli, “Questa scuola non è un’azienda! – I racconti del prof. Bingo”, Ed. Pendragon (vittorio-vandelli.com)