Alluvione del 15 ottobre 2015: anche il Sannio paga il suo tributo …

La nostra magnifica terra , il Sannio, storicamente è stata spesso funestata da eventi naturali estremi, quali terremoti ed alluvioni .

Nel 1600, per limitare i danni ed i lutti  causati dai terremoti , fu inventato  addirittura un nuovo   modo   di   costruire   le   abitazioni,   la   cosiddetta   muratura   baraccata   beneventana (sistema ideato a Benevento, che riduceva il peso delle masse murarie fuori terra e quindi le forze sismiche orizzontali).

Ci sono testimonianze , negli editti del tempo, della prescrizione di tale sistema costruttivo per le nuove abitazioni .

L’attenzione a contenere gli effetti degli eventi sismici la si coglie anche negli accorgimenti presi dai Longobardi, diversi secoli prima, nella costruzione di uno dei monumenti più belli di Benevento, la chiesa di Santa Sofia , uno dei massimi esempi  di architettura longobarda  e patrimonio culturale mondiale.

Il   campanile della chiesa è, infatti,  particolarmente tozzo, ma soprattutto   eretto in zona insolitamente lontana da essa, al fine di prevenire eventuali maggiori danni che un suo perimento avrebbe potuto arrecare alla chiesa stessa.

Ma anche le alluvioni   sono   state   frequenti   soprattutto   a  Benevento   ,  città   costruita alla confluenza di due fiumi , il Sabato ed il Calore ( del quale Dante nel Purgatorio menziona ilponte  ). Inoltre diversi   torrenti   attraversano o lambiscono la città.

I nostri antichi progenitori , ed anche di questo c’è traccia nella documentazione storica del tempo passato, prescrivevano in maniera perentoria   la tenuta dei fossi di guardia , delle scoline, dei canali scolmatori ,degli argini e dei piani golenali .

Era chiaro, sin da allora, che  di fronte a Giove pluvio molto poteva fare la prevenzione, quella che oggi viene altrimenti chiamata sistemazione idraulica forestale .

Tuttavia tra i due eventi naturali, il sisma e l’alluvione, c’è una grande differenza .

Per il terremoto non esiste alcun modello matematico che  possa prevederne il verificarsi e indicare le  modalità ed intensità dell’evento. Possiamo solo ricorrere a previsioni statistiche di  massima per indicare  la sismicità di una zona   ( i dati a nostra disposizione sono, per giunta,  largamente insufficienti a valutare fenomeni su scala geologica , per cui   mille anni della nostra storia per la Terra sono poco più di un attimo ). Per le alluvioni, invece, la situazione è nettamente diversa .

Innazitutto le precipitazioni non sono fenomeni su scala geologica . Abbiamo inoltre la disponibilità di foto satellitari e la grandissima capacità di calcolo degli attuali elaboratori elettronici, che consentono l’impiego di modelli matematici particolarmente complessi e quindi previsioni meteorologiche molto accurate, soprattutto nel breve periodo.

Anche i dati pluviometrici (  misura delle precipitazioni ) attualmente in nostro possesso sono ampiamente sufficienti, soprattutto per alcune zone della  Campania, per elaborare accurate leggi di pioggia .

Infatti,  i Borbone,   sempre   così   vituperati   per   la   loro   grettezza ,   ebbero   invece   la lungimiranza di effettuare misurazioni di temperature e di pioggia per la città di Napoli fin dal lontano 1819, data di ultimazione dell’Osservatorio Astronomico di Capodimonte .

Ed è giusto il caso di ricordare che non esiste al mondo nessuna altra città con una serie storica di dati così estesa.

Eppure l’amministrazione  borbonica pur così rozza, secondo i detrattori , non praticando  in alcun modo il pareggio di bilancio, ciò non di meno, aveva in cassa ricchezze pari al doppio di tutti gli altri stati italiani messi assieme ed interveniva efficacemente sul territorio!

Ma, tornando alle precipitazioni meteoriche o acque zenitali, queste sono governate da una legge semplicissima, che è quella di gravità .

Infatti , proprio per la gravità, le piogge che cadono a monte, prima o poi, arriveranno a valle (il poi dipende dalla velocità e quindi  dalla acclività del bacino drenante oltre che da  altri fattori) e gli effetti che le stesse produrranno saranno conseguenti all’attività antropica, ovverosia a quello che l’uomo ha posto in essere o non ha posto in essere nella zona interessata dalle precipitazioni .

Fatte queste premesse, molti in città  ancora ricordano l’alluvione dell’ottobre del 1949 (ebbene sì, le alluvioni a Benevento avvengono sempre di ottobre, che assieme al mese di novembre  è tra i  più piovosi, come è facilmente desumibile dai dati pluviometrici del Sannio).

Da bambino mio zio materno mi raccontava di come all’epoca salvò se stesso e la sua famiglia dalla furia delle acque, che portò via la sua casa,  passando per i tetti delle abitazioni limitrofe.

Allora  Benevento  era  una  città  quasi  del  tutto  distrutta  dai  bombardamenti  alleati, che avevano come obbiettivi  proprio il ponte vanvitelliano sul fiume Calore e quello ferroviario poco distante, che invece rimasero pervicacemente intonsi , mentre furono colpiti l’ospedale, il Duomo e la mia casa avita (oggi tali accadimenti si chiamano più correttamente danni collaterali, anche se resta l’arcano del perchè mai gli alleati ce l’avessero con Vanvitelli e con la mia casa avita).

In quel periodo di stenti e di grandi difficoltà le rimozioni delle macerie vennero fatte a mano o con carretti a trazione animale, per cui fu quasi una scelta obbligata smaltirle nell’alveo del fiume Calore, che attraversa il centro storico .

Orbene, un evento di pioggia intenso, il vecchio ponte vanvitelliano inadeguato, l’alveo del fiume ristretto dalle macerie, il territorio colpito dalle devastazioni belliche oltre che da una pluriennale incuria causata dalla mancanza di braccia, perchè allora impiegate al fronte, causarono un’alluvione con venti morti.

Il 15 ottobre scorso si è verificata un’altra devastante alluvione e, mutatis mutandis, la storia è sembrata ripetersi.

I morti sono stati due. Tutte le aree industriali beneventane sono state devastate, così come interi quartieri e diverse scuole .

Dopo sessantasei anni, se non ci fosse il  nuovo  ponte  costruito nel 1960,  (oggi impossibile  siffatta realizzazione, perchè deprecabile iniziativa di tipo keynesiano), potremmo dire proprio che le condizioni sarebbero come quelle post belliche del ’49.

Benevento è ancora una città disastrata. Non ci sono stati più bombardamenti , forieri della democrazia, ma il patto di stabilità, che ha  prodotto effetti economicamente devastanti ed analoghi a quelli bellici.

Nel centro storico, salotto buono della città e isola pedonale, il 50% delle attività commerciali sono chiuse o stanno chiudendo, causa la crisi (che per qualcuno, illo tempore novello Don Ferrante , non esisteva  e che per un altro oggi , novello La Palice , è ormai cosa passata e non deve preoccupare più).

Invece gli enti locali, causa i trasferimenti statali, ridotti ormai ai minimi termini, a stento riescono a garantire l’ordinarietà, per cui dovendo tagliare,  tagliano proprio i capitoli di spesa relativi alla gestione del territorio ed alla manutenzione delle strade.

Non si tratta di  questa o quell’altra  ammninistrazione  che è stata negligente ma, semplicemente, che non ci sono i soldi a tal uopo.

Gli  amministratori locali hanno l’ingrato   compito   di  scegliere   se garantire i   trasporti provinciali oppure pulire i piani golenali dei fiumi Sabato e Calore. Si fa la sistemazione idraulica forestale o si garantisce il riscaldamento alle scuole?

Il pareggio di bilancio introdotto  in Costituzione, grazie al salvatore della Patria, il banchiere Mario Monti, non consente spese senza copertura  neanche per la sicurezza dei territori, ma se ci sono catastrofi  e morti , dopo si può anche spendere .

E’ un vero e proprio pactum sceleris.

Questa volta è toccata al Sannio , l’anno scorso a Genova e avanti così, perchè altre catastrofi evitabilissime ci saranno in una Italia dal contesto ambientale così bello, ma così fragile ed abbisognevole  di attenzioni.

Avere  cura   del  territorio   nazionale  sarebbe   proprio  una  delle   attività   a  maggior   impatto positivo sul nostro PIL, cosa incompatibile però con le regole insulse che ci siamo date, ma che in realtà i mercati e l’Europa ci hanno accollato.

La conseguenza per Benevento di queste scelte, che le raffinate menti di Bruxelles hanno imposto impunemente  ai paesi  dell’area  euro, è la  chiusura con  l’alluvione  delle  poche fabbriche che ancora non erano state travolte dalla crisi (es. pastificio Rummo) e cassa integrazione per i lavoratori  che ancora avevano un posto.

Così, anche questa volta, saremo costretti a piangere i nostri morti  con l’amarezza ulteriore che non siamo stati colpiti da un destino cinico e baro, ma da regole insulse e che quindi i lutti  e le  tante devastazioni potevano essere evitate.

Non ci sarà certo di ristoro la consapevolezza di avere i conti a posto, così come ci chiede questa  Europa , che da sogno è ormai diventata, per noi Sanniti , un vero e proprio incubo .

Raffaele SALOMONE MEGNA