Alcune considerazioni sul merito e sul demerito nella scuola. Quello che nessuno dice o ha il coraggio di dire

Di fatto si preferisce che sia la logica impersonale del mercato o personalissima del dirigente-capo a decidere merito e demerito e non si mira a rafforzare il concetto di responsabilità professionale
di Fabrizio Reberschegg
Da Professione Docente 

04 Settembre 2015 (2.1 MiB)

Da almeno 20 anni si è imposta diffusamente l’ideologia della cosiddetta meritocrazia. Tralasciando gli aspetti critici tecnici ed epistemologici (il potere del merito purtroppo non esiste in nessun sistema sociale esistente..), il concetto di merito è stato utilizzato per costruire una “scienza” con caratteristiche apparentemente oggettive fondata su test, verifiche, relazioni, report, griglie di valutazione, analisi di costi-benefici, ecc. che affida il vero potere ai valutatori, una sorta di aristocrazia tecnocratica che decide, in applicazione degli algoritmi adottati nei processi di valutazione, merito e non merito, buono e cattivo nei sistemi di produzione. A nulla valgono le evidenti storture, gli errori e le aporie nei processi di valutazione “oggettiva”. Si pensi solo alle imbarazzanti performance delle società di rating durante la crisi economica attuale e che continuano a dare voti e pagelle alle economie dei paesi del mondo. Esibendo in ciò presunte valutazioni oggettive la cui base è determinata da un’ unica visione del sistema economico basata su semplici convenzioni (si veda la centralità del PIL nelle dinamiche del ciclo economico).Nella scuola italiana il concetto di valorizzazione del merito è entrato nel vocabolario delle riforme con Berlinguer e si è poi evoluto nel tempo dando per scontato che ci siano insegnanti (pochi) bravi da premiare a fronte di una maggioranza di insegnanti mediocri. Da questo assunto sono scaturite svariate proposte su chi dovesse identificare la quota degli insegnanti bravi e meritevoli (il test di Berlinguer, l’uso dei test Invalsi, le funzioni accessorie affidate ai docenti, il parere dell’utenza, ecc.ecc.).
La riforma della scuola di Renzi cerca apparentemente di proporre soluzioni che rappresentano la sintesi delle varie ipotesi di valorizzazione del “merito” succedutesi negli ultimi anni , i cui paladini sono stati i fratelli Ichino, Abravanel, Treelle, la Confindustria e altri enti portatori di visioni aziendaliste e tecnocratiche del “servizio” scolastico e della società nel suo insieme. Ma, appunto, solo di apparenza, si tratta perché si lascia di fatto alla valutazione soggettiva del dirigente stabilire chi saranno i migliori da premiare. La discrezionalità dirigenziale dovrebbe avere il solo limite dell’applicazione di “criteri” stabiliti dal neocostituito comitato di valutazione del quale faranno partedue genitori nelle scuole del primo ciclo e un genitore e uno studente nella secondaria di secondo grado. E’ evidente che anche in questo modo la definizione dei criteri avrà caratteristiche soggettive e legate al contesto e alla “reputazione”. Ma ancor più grave del premio monetario ai migliori è il principio contenuto della legge 107/15 per il quale è il dirigente a scegliere i “suoi” docenti attingendo dall’ambito territoriale. In prima applicazione la scelta ha per oggetto i neo immessi in ruolo nell’organico di potenziamento, ma poi il principio sarà applicato a tutti coloro che domanderanno trasferimento (non più su scuola, ma su ambito). E’ ovvio che il principio della chiamata diretta diventerà nel futuro, soprattutto in fase di sostituzione delle decine di migliaia di docenti che andranno in pensione nei prossimi dieci anni, elemento caratterizzante della qualità dell’offerta formativa. In concreto il dirigente potrà evitare di assumere i docenti che a suo avviso(sulla base dei soliti curriculi e del soliti piani dell’offerta formativa di cui il dirigente diventa attore principale) non sono compatibili con la “sua” scuola e con il “suo” progetto didattico o che, anche per situazioni soggettive non garantiscono continuità di lavoro o obbedienza alla direzione (si pensi ai titolari o beneficiari della legge 104, alle insegnanti in periodo di maternità, ai sindacalisti troppo antagonisti, ecc.ecc.). I docenti non richiesti direttamente dai dirigenti resterebbero nell’ambito territoriale e collocati dall’amministrazione nelle scuole di risulta. E’ fin troppo facile immaginare che si creeranno scuole ghetto nelle lontane periferie della provincia dove saranno collocati i docenti meno richiesti o più scomodi per la felicità dei poveri studenti e del dirigente ivi incaricato. Si costruirà nel giro di pochi anni una sorta di graduatoria tra scuole di livello diversificato privando la totalità degli studenti del diritto di avere in ogni contesto una scuola statale pubblica di qualità. Tale visione è alla base del definitivo processo di destrutturazione della scuola statale verso una palese privatizzazione del “servizio”. Il tutto per evitare di affrontare il vero problema: come affrontare e colpire il demerito. Per demerito nell’insegnamento non intendiamo certo il comportamento inaccettabile di chi non rispetta il contratto di lavoro (assenze ingiustificate, ritardi, omissione negli atti obbligatori, ecc.ecc.). In questi casi basta e avanza il decreto Brunetta che prevede nei casi più gravi la sospensione dal servizio e il licenziamento.
Il demerito che è alla base delle considerazioni che portano poi al mito della meritocrazia nell’insegnamento è quello relativo ai pochi docenti che sono in difficoltà nell’attività di insegnamento, che non sono in grado di gestire il rapporto e il dialogo educativo in classe, che dimostrano palese incompetenza nelle discipline insegnate, ecc.Sappiamo bene che in questi casi l’unico intervento ora possibile è quello di un ispettore tecnico che, verificate burocraticamente le contestazioni in merito alle capacità professionali, al massimo dispone il trasferimento d’ufficio ad altra scuola, spostando il problema senza risolverlo.
La legge 107/2015 non affronta tali questioni. Anzi, quando la Gilda ha espresso le sue proposte sul demerito a partiti e sedicenti esperti del governo, si è trovata di fronte ad un muro di gomma imbarazzante. Manca il coraggio a questo governo come a tutti quelli che l’hanno preceduto di predisporre interventi specifici per affrontare le situazioni che in primis genitori e studenti considerano inaccettabili. La soluzione sarebbe semplice: rafforzare la valutazione professionale esterna mediante un pool formato da ispettori e docenti della materia, un vero e serio comitato di valutazione che può sentire il parere non vincolante delle famiglie e degli studenti e che abbia il potere non tanto di licenziare, ma di proporre/imporre percorsi di formazione per i docenti più fragili dal punto di vista della preparazione disciplinare e pedagogica e, nei casi più eclatanti, il collocamento ad altra mansione nella pubblica amministrazione.
E’ interesse di tutti i docenti, di tutte le famiglie e di tutti gli studenti che i pochi docenti che non sanno fare il loro mestiere siano esonerati, anche solo temporaneamente, dall’insegnamento attivo. E’ soprattutto interesse della categoria dei docenti pretendere che tutti i suoi componenti siano in grado di garantire standard professionali di qualità.
La legge 107/2015 risolve il problema in maniera semplicistica evitando di costruire un vero sistema di garanzia della qualità della professione docente che dovrebbe essere sostenuta anche mediante il riconoscimento di un codice deontologico professionale ( di cui la Gilda si è già dotata) e di organi di autoverifica e autovalutazione della categoria (Consiglio Superiore della Docenza articolato in ambiti territoriali).
Di fatto si preferisce che sia la logica impersonale del mercato o personalissima del dirigente-capo a decidere e non si mira a rafforzare il concetto di responsabilità professionale. I risultati scolastici delle scuole non d’elite nei paesi anglosassoni sono imbarazzanti. Non crediamo che sia questa la strada da percorrere.

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