Un caso di annullamento di una sanzione disciplinare di sospensione per 10 giorni

Segnaliamo l’esito positivo di un ricorso patrocinato dalla Gilda provinciale di Gorizia in merito alla sospensione di 10 giorni inflitta a una docente che, nell’ambito del procedimento disciplinare avverso un’altra collega, aveva reso, su richiesta della dirigente scolastica, testimonianza scritta dei fatti verificatesi. Poichè la dichiarazione resa non rispondeva alla “verità” dirigenziale, ma riportava solamente i fatti visti e sentiti, la dirigente procedeva con una contestazione di addebito per aver reso testimonianza falsa, calunniosa e reticente.
La dirigente che, in buona sostanza era allo stesso tempo parte in causa, pubblico ministero e giudice, irrogava la sospensione di 10 giorni alla docente: un caso esemplare e assurdo di come il sistema, così come strutturato, non possa funzionare.

SENTENZA

[promossa] da *** contro MIUR, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso da ecc. ecc.

avente ad oggetto: impugnazione sanzione disciplinare

MOTIVI DELLA DECISIONE

[…]

Non resta che esaminare l’asserito vizio di difetto di imparzialità del Dirigente Scolastico che ha emesso la sanzione impugnata.

A *** è stato contestato di aver fornito un resoconto scritto non veritiero dell’episodio a cui ha assistito e che ha visto coinvolti il medesimo Dirigente Scolastico e la collega +++.

Quindi, la situazione – nella sostanza – sarebbe la seguente: la *** è stata sanzionata per aver fornito una versione del fatto non conforme al convincimento del Dirigente Scolastico nonché tale da “favorire la posizione della +++, a sua volta sottoposta a procedimento disciplinare.

In altri termini, il Dirigente Scolastico ha chiesto una dichiarazione sottoscritta dalla ricorrente da “utilizzare” nel procedimento a carico della +++ e la *** avrebbe reso una testimonianza falsa, reticente ed a tratti calunniosa, ciò secondo la valutazione personale del medesimo Dirigente.

Nella presente causa non vi sono elementi sicuri che possano confermare o smentire la fondatezza dell’addebito perché non esiste la prova certa e piena che la docente abbia consapevolmente e (soprattutto) volontariamente detto il falso per tacere la verità (sul presupposto – indimostrabile -che la verità sarebbe coincisa esattamente con la versione dell’episodio sostenuta dal Dirigente) di cui sarebbe stata a conoscenza per cagionare un pregiudizio ingiusto al superiore gerarchico.

Posto che non esistono (nel senso che non sono materialmente acquisibili in questo tipo di giudizio) riscontri concreti in ordine alla natura oggettiva e soprattutto soggettiva della condotta (avente una valenza spiccatamente “penalistica”) imputata alla lavoratrice, è inevitabile l’annullamento della sanzione disciplinare impugnata, con rimborso da parte del MIUR della trattenuta sulla retribuzione operata in misura corrispondente a dieci giornate di lavoro.

La prevalente soccombenza del MIUR giustifica il pagamento di un contributo per le spese legali della controparte.

P.Q.M.

Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al ___ R.G.L. così decide:

1. annulla la sanzione disciplinare impugnata in quanto non esistono elementi certi idonei a supportare l’esistenza dell’elemento oggettivo e soprattutto di quello soggettivo della condotta imputata alla lavoratrice;

2 condanna il MIUR a rimborsare alla ricorrente la trattenuta sulla retribuzione operata in misura corrispondente a dieci giornate di lavoro, oltre ad accessori dovuti come per legge;

3 condanna il MIUR a rifondere alla controparte un contributo per le spese di lite, contributo che liquida in complessive € 900# per competenze, oltre esborsi, spese generali ed accessori come per legge, con eventuale distrazione a favore dei difensori ove antistatari.

Così deciso in Gorizia, il 10 ottobre 2019