Sull’imbarazzo (mio) in merito all’educazione civica

A scuola non si parla a sufficienza di didattica. Sfrutto il mio imbarazzo per fare alcune considerazioni, nella speranza che portino a risvolti didattici. Il mio imbarazzo è dovuto al fatto che non so bene come comportarmi, in quanto leggo spesso, nelle direttive che arrivano dall’alto e nel modo di applicarle, molto conformismo. La scuola non deve essere né dissidente né conformista, deve essere obiettiva e neutrale.
In merito all’educazione civica, si propongono attività sulla Costituzione. Va benissimo, anzi, è il punto di partenza irrinunciabile. Ma che taglio diamo? Impossibile parlare della Costituzione senza fare considerazioni politiche (che non vuole dire di parte). La Costituzione italiana è frutto di scelte politiche ben precise, di tipo progressista, atte a promuovere un’emancipazione sociale. Ciò la rende un documento scomodo in questa fase storica, in quanto prevalgono forze restauratrici, almeno per quanto riguarda la questione sociale. Dunque, come affrontiamo l’argomento? Una fredda elencazione degli articoli? Non penso serva a nessuno.
Se facciamo una semplice analisi per esempio dell’articolo 1, articolo immodificabile se non tramite un vero e proprio colpo di stato, ne viene necessariamente una lettura critica.
L’articolo 1 è completamente disatteso, causa la non applicazione dell’articolo 3 e 4 (e vari altri).

La nostra Repubblica non è basata sul lavoro, in quanto negli ultimi trent’anni i governi non hanno “promosso le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro” (art.4) e non si sono adoperati per “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art.3). Non essendo stato garantito il diritto al lavoro e la rimozione degli ostacoli, la nostra Repubblica non è nemmeno democratica, in quanto sempre meno cittadini possono partecipare all’organizzazione politica, economica e sociale (vedi considerazioni di Piero Calamandrei).
E con “la sovranità appartiene al popolo” (art.1) come la la mettiamo? Pronunciare la parola sovranità oggi è come pronunciare una bestemmia; si è immediatamente tacciati quali sovranisti……
Eppure l’articolo 1 è immodificabile!
Questa imbarazzante situazione, si è storicamente venuta a creare, nel 1981, in seguito al divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia (un semplice atto d’ufficio dell’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, concordato con Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Banca d’Italia). Si è di fatto avallata in tale modo la supremazia della finanza sullo Stato, creando il “vincolo esterno”, in grado di condizionare qualsiasi azione di governo.
Le conseguenze non hanno tardato a farsi sentire: fine della sanità gratis per tutti, fine della scala mobile, fine degli investimenti nelle infrastrutture, inversione delle dinamiche di redistribuzione del reddito (dall’alto al basso dal dopoguerra fino al divorzio, dal basso all’alto da allora in poi), ecc..
Altro argomento: le politiche monetarie e di bilancio. Sono alla base di qualsiasi decisione del Governo, in quanto ne determinano la fattibilità o meno. É banale, ma è così. É una delle prime cose che ho capito nella mia esperienza di Assessore alla scuola e alla cultura  a Marano s. P. (primi anni 90). Se non avevo le idee chiare sui capitoli di bilancio e se non ero in grado di sostenere un colloquio con il ragioniere comunale, non ero in grado di muovermi.
Non spieghiamo cosa sono le politiche di bilancio/fiscali, come funziona il sistema monetario e di conseguenza le politiche monetarie? Difficile? Occorrono conoscenze matematiche da quinta elementare. Però si entra in un campo minato in quanto ci si scontra con mille false convinzioni e innumerevoli pregiudizi. Un esempio: le tasse a differenza di quanto si pensi, non servono necessariamente per pagare i servizi. Il prelievo fiscale infatti, avviene dopo l’emissione di moneta nella società. Sarebbe altrimenti impossibile, non ci sarebbero soldi in circolazione (a parte i risparmi della gente e l’eventuale saldo positivo della bilancia dei pagamenti). Usare il prelievo fiscale per pagare i servizi, è una scelta politica. L’emissione monetaria nella società avviene attraverso la spesa pubblica. La dimostrazione evidente che non serve il prelievo fiscale per garantire la spesa (ripeto, è il contrario, serve la spesa pubblica per procedere al prelievo fiscale) è di questi giorni: il governo ha stanziato e speso, dal periodo del lockdown ad oggi 100 miliardi. Una cifra enorme senza precedenti nella storia recenti, praticamente 7 punti percentuali del PIL. Dove ha preso tale cifra? Non certo dalle tasse. Vengono dalla monetizzazione del debito, ovvero tutti i titoli di Stato emessi in questo periodo, sono stati comprati dalla Banca d’Italia con denaro creato dal nulla dalla BCE. Non essendo sul mercato, per lo Stato questo debito è a costo zero. Si tratta di una scelta di politica monetaria della BCE, che ha fatto esattamente ciò che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo. Questa evidenza smentisce tutta la retorica sulla carenza di risorse monetarie.
Cosa servono le tasse? Sono uno strumento per le politiche di bilancio con diverse funzioni. Le principali sono: imporre la moneta a corso legale, regolare massa monetaria in circolazione, incentivare o disincentivare attività economiche in base a scelte strategiche, eccetera. Fondamentale la funzione regolatrice della massa monetaria, in quanto determina l’arricchimento o l’impoverimento della popolazione: la popolazione si arricchisce se la spesa pubblica è superiore al prelievo fiscale (spesa espansiva), si impoverisce se la spesa pubblica è inferiore al prelievo fiscale (austerità). Dal 1992 il bilancio primario è in attivo, ovvero siamo in un regime di austerità. Lo Stato spende meno in servizi al cittadino di quanto preleva in tasse. Quest’anno ovviamente no. Il bilancio a fine anno sarà in passivo di parecchie decine di miliardi. Questo forte deficit sarà a carico delle generazioni future? Dipende dalle politiche monetarie e di bilancio che verranno adottate!
A proposito, siete per la pace nel mondo? Bene, sarà attuabile solo se tutte le bilance dei pagamenti (saldo esportazioni ed importazioni) dei vari Stati tenderanno al pareggio, evitando in tale modo squilibri e tensioni. Questo era uno degli obiettivi degli accordi di Bretton Woods, applicati solo in parte dal dopoguerra fino al 1971 (Nixon: uscita unilaterale degli USA). Gli accordi di Bretton Woods hanno contribuito a creare nell’occidente, in sinergia con le politiche di spesa espansiva dei vari Stati, tra gli anni ‘50 e ‘70, un periodo di sviluppo economico e sociale senza precedenti.
In pratica, la pace del mondo passa attraverso la sostituzione in economia del termine competizione con collaborazione e tramite la regolamentazione del mercato estero (bestemmia in questo periodo).
Riassumendo, sono le scelte di politica economica sia monetaria sia di bilancio che determinano il destino interno di una Nazione (nel caso dell’Italia: la possibilità o meno di applicare l’articolo 3 e quindi di realizzare il programma costituzionale) e sono le scelte economiche inerenti il commercio estero che determina il destino del mondo.
Solo esse possono realizzare progresso sociale, distribuzione equa delle ricchezze, svolte ecologiche, pace nel mondo, eccetera.
Mi sono dilungato e forse sono andato fuori tema, però l’imbarazzo rimane.
Concludo con un elenco di articoli della costituzione con criticità nell’applicazione:
 
ART. 1.
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
 
ART. 2.
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
 
ART. 3.
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
 
ART. 4.
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
 
ART. 11.
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
 
ART. 30.
E` dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.
La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.
 
ART. 32.
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
 
ART. 33.
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
 
ART. 34.
La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
 
ART. 36.
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
 
Massimo Bonetti