Sui docenti “missionarî” che “distruggono sé stessi (e il diritto allo studio)”

La professoressa M.Q. sta per collegarsi “a distanza”, dal pc del suo Liceo […] ma il collegamento non va. […] Senza pensarci due volte, usa il proprio cellulare come “hotspot”, collegando il computer del Liceo a internet tramite il proprio credito telefonico […] «Tanto ho 50 “giga”», esclama giuliva.

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In un Istituto Tecnico Statale il prof. E.R. è in quarantena, con certificato di malattia. Tuttavia decide di insegnare “a distanza” da casa. «Il diritto allo studio va garantito», sostiene; «in fondo ho solo una febbretta». Non si rende conto di violare la normativa, i propri diritti e la logica. Qualcuno potrebbe anche sospettare, infatti, che, se un docente lavora, non sia davvero malato; o che — come molti credono — il suo lavoro non sia impegnativo (o che non sia proprio un lavoro).

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Insomma, troppi docenti non comprendono che il loro — pur lodevole — senso del dovere va tramutandosi in un bulldozer che spianerà quanto resta della Scuola come istituzione della Repubblica. L’ignoranza dei propri diritti, spostando sempre più in là i paletti della deregulation neoliberista, abbatte gli ultimi limiti all’edificazione della “istruzione on demand”, fornita da scuole-azienda ultraflessibili…

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Troppi insegnanti si vergognano di non essere “eroi” come i medici in lotta col virus. Dimenticano però che i medici son vincolati dal giuramento di Ippocrate, nonché da un contratto molto favorevole economicamente. I medici di base prendono sui 5.000 euro lordi mensili; i primari 4.500 netti; gli ospedalieri dai 1.900 ai 2.900 netti (secondo l’anzianità); più straordinari, reperibilità, turni festivi e notturni. Come paragonare la loro condizione a quella dei docenti?

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