REFERENDUM 107/LIP: intervento Stefano Avanzini (Roma 29/11/15)

Vedi anche: Testo del documento approvato dall’Assemblea del 29.11.2015

Rispondo ai due quesiti posti dal tavolo di presidenza:

a) referendum: con chi;

b) referendum: su che.

a) Non sono d’accordo con Piero Bernocchi sulla questione sociali sì, politici no.

Penso anch’io che dobbiamo evitare qualunque possibile ‘cappello politico’, ma non è il caso di tagliare la testa per togliere il cappello: se ci saranno soggetti politici che vorranno affiancare e sostenere la campagna referendaria, ben vengano, purché se ne stiano al loro posto e riconoscano che i ‘padri naturali’ di questo referendum sono i comitati LIP e tutti i movimenti e le associazioni che si sono coagulati intorno al progetto LIP, che dovremo riscrivere e aggiornare e abbinare alla raccolta di firme per il referendum. In effetti, ha ragione Stefano D’Errico quando dice che, se vogliamo essere credibili, non basta dire col referendum cosa non vogliamo, ma anche cosa vogliamo, e per questo c’è il nuovo testo della LIP (tra l’altro, l’abbinamento nella raccolta di firme ci darà il polso di quanto e quale sarà il seguito che possiamo augurare alla nostra campagna referendaria, dato che dobbiamo portare alle urne 25 milioni di elettori e fare in modo che 13 votino per noi). Soprattutto, però, toccherà a noi vigilare e fare in modo di tenerli al loro posto, e rivendicare senza se e senza ma il nostro diritto di genitura.

Dunque avanti con i referendum sociali su lavoro (Jobs Act) e ambiente (trivellazioni et similia), dato che se ci confiniamo al mondo della scuola cadiamo nel solito errore dell’autoreferenzialità e abbiamo già perso, ma non è il caso di sganciarsi dai referendum politico-istituzionali.

I referendum su riforma elettorale e riforma del Senato rispondono alla stessa logica ‘in difesa della democrazia e della cittadinanza’ della chiamata del DS della 107: si vuole un CdD di ‘nominati’ obbedienti per formare futuri ‘cittadini’ obbedienti (si chiamano ‘sudditi’) disposti a/felici di farsi rappresentare da parlamentari ‘nominati’ e obbedienti.

Questo è esattamente quello che non vogliamo per la scuola e per la repubblica.

Dunque la lotta alla 107 e ai superpoteri del DS e quella a riforma elettorale/riforma del Senato sono il recto e il verso della stessa pagina, non possono essere disgiunte, e devono camminare sulle stesse gambe (speriamo milioni).

b) D’accordo con Bruno Moretto, la compagna di RC [Giovanna Capelli] e quanti hanno detto che l’abrogazione ‘totale’, per quanto destinata all’inammissibilità, va difesa e sostenuta come ‘atto simbolico’, che ci permetterà di metttre sul tavolo tutte le ‘inammissibilità’, costituzione e buon senso didattico alla mano, della legge 107.

Ma dobbiamo essere realisti, e dunque pensare alla soluzione B: quesiti parziali.

Quali?

Personalmente sono d’accordo coi tre quesiti proposti dal prof. Villone:

a) chiamata DS (è il cavallo di Troia per estendere il Jobs Act a pubblico impiego e a tutti i docenti: in realtà l’attacco è al lavoro dipendente in quanto tale e alla sua dignità; non salterà fuori dal cappello, un giorno, un’associazione di docenti neo-assunti a triennio, imbeccata da governo, TREELLE, Fondazione Agnelli & Co, a porre una questione di costituzionalità ex art. 3 C.I., contestando che un docente assunto nel 2015 sia legato triennalmente ad un ambito territoriale mentre io, solo perché assunto nel ’92, ne sono felicemente immune? E Ichino di Jobs Act esteso a tutti, privato e pubblico, parla da sempre;

b) curricolo / alternanza S/L: sarei d’accordo – in effetti, come ci ricordava il prof, Villone, non sono o sono difficilmente collegabili, e bisogna scegliere – per scegliere l’alternanza, con gli argomenti portati da Danilo Lampis e da altri, soprattutto, pour cause, studenti, che ne vivono sulla propria pelle la dimensione di sfruttamento di manodopera ‘servile’ mascherato; ovviamente, con le modalità suggerite da Villone di ignorare la quantificazione ecc..

Solo un dubbio: temo che, con tutta la retorica ‘efficace’ che da tutte le parti ci viene rovesciata addosso sulla sacertà del diritto di privacy, quello sul curricolo avrebbe più probabilità di vincere e sarebbe meno divisivo sui banchetti delle firme e nell’urna, dato che la retorica ‘polettiana’ e ‘treellina’ sull’inadeguatezza di una scuola che non prepara al mondo del lavoro, specie con questi numeri sulla disoccupazione giovanile, che l’apparato mediatico di regime non manca di pompare ad ogni piè sospinto, fa presa anch’essa sull’opinione pubblica ed è, ahimè, decisamente efficace;

c) erogazioni liberali o finanziamenti privati, ognuno li chiami come vuole: ovviamente, come ci ricordava il prof. Villone, senza toccare il credito d’imposta ma insistendo sulla destinazione al sistema scolastico nazionale, in nome dell’unitarietà appunto del sistema scolastico.

Che non ci sia quella legione di imprenditori ‘illuminati’ vale forse più a Roma o a Milano che non in provincia e nella periferia dell’impero, in aree che ospitino realtà economico-produttive fortemente caratterizzate: nel mio istituto da tre anni è in corso una guerra su liceo scientifico vs liceo delle scienze applicate (fortemente sponsorizzate dal DS), e in un comparto ceramico come quello del mio territorio non mancano certo le imprese disposte a donazioni più o meno generose. In cambio di che

Da qui al Cd’I trasformato in Cd’A (ricordiamo tutti il disegno di legge Aprea-Ghizzoni) il passo è più breve di quanto si pensi.

Non solo: è forse il caso di ricordare che viviamo in un paese in cui un imprenditore, nel lontano ’94, si è liberalmente donato alla politica, e, Gelmini doceat, la sua discesa in campo non ha mancato di produrre sfracelli nella scuola, sui quali la legge 107 non fa che innestarsi per portare a compimento l’opera di smantellamento della scuola pubblica statale avviato da quell’imprenditore politicamente ‘illuminato’, ‘clonatosi’ in Matteo Renzi auspice Squinzi e tutto l’establishment confindustriale aggregato intorno ad Oliva e Gavosto.

E senza tornare così indietro nel tempo, pure Della Valle faceva e continuerà a fare l’imprenditore, ma lo zampino su politica e scuola sta per infilarcelo anche lui.

Last not least, credo che la guerra al Comitato di Valutazione dei Docenti vada combattuta con altre armi, sapendo che useremo bastoni e fionde contro F35.

La questione valutazione è divisiva, e lo abbiamo già visto oggi in alcuni interventi di studenti, che ci hanno detto che la valutazione da parte di studenti (e genitori) è cosa buona e giusta: ciò non toglie che per me il punto fermo è che come docente sono disposto a concedere a chiunque il diritto di valutarmi, purché soddisfi due prerequisiti: terzietà e competenza (disciplinare). Ora, un meccanismo di valutazione come quello proposto dalla 107 non solo crea potenziali conflitti d’interesse (il genitore o lo studente usa il comitato per cucire addosso al ‘suo’ o ai ‘suoi’ docenti criteri che gli garantiscano l’accesso al bonus de merito do ut des, direbbe il latino – in una logica ‘sotterranea’ di scambio di favori), con tanti saluti alla terzietà, ma rappresenta un unicum in Europa e nel mondo della civiltà scolastica, chiamando genitori e studenti ad una valutazione ‘aprofessionale’, venendo meno all’indispensabile e ineludibile competenza disciplinare.

Per questo ci sono – o meglio, ci dovrebbero essere – i dirigenti tecnici, ovvero, con parola d’antan, gli ispettori ministeriali, che ovviamente, se devono valutarmi come docente di latino, non possono non avere solide e aggiornate conoscenze vel competenze – ognuno, di nuovo, le chiami come più gli piace – di latino, senza le quali il loro giudizio di valutazione vale less than zero).