“In difesa dei più deboli.” di Raffaele SALOMONE MEGNA

Quando la crisi economica di una società diventa sempre più dura porta anche alla crisi dei valori etici fondanti della società stessa.
Al concetto di inclusione, di protezione del più debole si sostituisce quello del “primum vivere deinde philosofari”.
Ci si avvia ad una sorta di darwinismo sociale, per il quale Hobbes ebbe a dire ai suoi tempi :“ homo homini lupus”.
Un tragico esempio ci viene dalla storia: il ghetto di Varsavia.
Istituito dai nazisti all’inizio del 1940, originariamente conteneva circa 500.000 persone o juden, la metà della popolazione della città di Varsavia chiusa, però, in un ventesimo di tutta la superficie disponibile.
Cionondimeno si trovò nel ghetto un “modus vivendi”. L’uomo, d’altronde, è un animale sociale.
Nel 1942 i nazisti pianificarono lo stermino per fame degli abitanti del ghetto.
La gente moriva di inedia per le strade. Non c’era più alcun “modus vivendi” possibile. Nessuna rete di protezione familiare bastevole.
Morirono prima i più deboli, i vecchi, i bambini, i disabili e le donne, poi anche gli uomini.
E con essi morivano anche la pietas e l’humanitas.
Questo era l’obiettivo più atroce ottenuto dai nazisti: uccidere le vittime facendole sentire anche in colpa.
“Mutatis mutandis”, in Italia si sta seguendo lo stesso percorso.
I ghetti non esistono, o almeno non si vedono, ma vengono creati artatamente nei cuori delle persone da uno pseudo giornalismo che, invece di parlare alle menti, in cerca di un facile consenso parla alla pancia della gente.
E quindi “dalli all’untore!”.
In questi ghetti mentali vengono relegati, di volta in volta, i disabili e le persone che li assistono, perché avrebbero dei privilegi, le donne in gravidanza per le tutele eccessive che non possiamo più permetterci o i pensionati che avrebbero dovuto lavorare sino allo sfinimento e invece campano sulle nostre spalle, compromettendo il futuro dei giovani.
Così non si va da nessuna parte. E’ “bellum omnium contra omnes”.
Ma questa gogna mediatica non avviene a caso, essa apre il campo a quanto avverrà a breve: patrimoniale per tutti , taglio delle pensioni e fine della sanità pubblica.
Trasmissioni come “L’Arena”, condotta da Massimo Giletti, sono funzionali a questo disegno.
Non si parla delle scelte errate fatte dall’Italia, come l’adesione alla moneta unica ed il pareggio di bilancio, che ci hanno distrutto, quinta potenza economica mondiale, ma si discute di “res nullius”.
Dicono che i giovani devono essere rispettati. Giustissimo. E come la mettiamo con la disoccupazione giovanile al 40%?
Sono stato invitato alla trasmissione del 19 u.s. per cercare di spiegare come i congedi straordinari per i dipendenti pubblici e privati ( nel caso nostro un docente) non fossero un privilegio degli impiegati dal posto fisso, ma un diritto inalienabile dell’assistito disabile garantito dalla nostra Carta Costituzionale ( si leggano gli articoli 30,32 e 38), ma non me ne è stata data la possibilità.
Far passare un messaggio sbagliato all’opinione pubblica è un vero e proprio attacco alle conquiste civili e sociali come la tutela della disabilità.
Fare chiarezza è stato solo un mio pio desiderio perchè la finalità del giornalista era ben altra.
Infatti, non ho potuto parlare, nè ricordare che esiste anche l’art. 433 del codice civile ( obbligo di assistenza del disabile per parenti e affini sino al terzo grado) e precisare che se gli alunni sono senza supplenti a scuola, la causa è esclusivamente imputabile al comma 333 della legge di stabilità n.190 del 2014 e al comma 88 della legge 107/2015 ( in capo a Matteo RENZI).
Certo, queste cose in una disputa da bar non sono importanti!
Senza poter parlare con nessuno della redazione prima della trasmissione, isolato per due ore, poi fatto sedere su di uno sgabello di scena volutamente scomodo, con le luci sul volto che mi impedivano di vedere bene il mio interlocutore e con un giudice “ a latere” dall’accento tedesco, che mi ricordava il famigerato Roland Freisler.
Si doveva parlare di legge e di etica, invece dovevo essere l’agnello sacrificale, il capro espiatorio, il sindacalista che difende un furbetto ed i suoi privilegi. Ma non è così.
Non ho compiuto l’auto da fè.
Avevo invece finalizzato la mia presenza a dar voce a chi voce non ha, a coloro che soffrono ed a coloro che ogni giorno li assistono, non ai “furbetti” scansafatiche di qualsiasi latitudine.
A Massimo Giletti da queste righe dico quello che non ho potuto dire guardandolo in volto da uomo ad uomo, non come un colpevole dal banco degli imputati : nell’arena del Colosseo si eseguivano sia i combattimenti tra gladiatori, ad armi pari, che le condanne capitali previo pubblico ludibrio.
Caro Giletti, io ero venuto nell’arena per combattere, anche se con un braccio legato dietro alla schiena, tu invece mi volevi sottoporre al pubblico ludibrio.
Come è andata a finire è sotto gli occhi di tutti. Eri di parte e non dovevi consentire alcun dibattito. Tanti però hanno capito il tuo gioco.
Parlare di argomenti così delicati in siffatto modo è sbagliato. E’ inaccettabile. E’ contro lo spirito della nostra Carta Costituzionale confermata dal referendum del quattro dicembre.
E nei confronti dei disabili la tua trasmissione ha dimostrato la stessa sensibilità che può avere la cotenna di un porco vecchio di due anni.