Dell’alternanza scuola lavoro ovvero dell’abominio di una legge

Di Raffaele SALOMONE MEGNA

Noi insegnanti siamo una categoria professionale assolutamente peculiare: non possiamo esistere in quanto tali ma, per essere tali, abbiamo necessariamente bisogno degli allievi, quelli che chiamiamo i “nostri ragazzi”.

Il rapporto è inscindibile.

Quando siamo da soli, senza i nostri discenti, siamo semplicemente dei laureati nelle più disparate discipline, ma quando siamo assieme ai “nostri ragazzi “diventiamo “prof”.

Ma qual è il nostro compito?

Semplice a dirsi ma molto difficile da svolgere: quello di educare.

Il termine, che deriva dal latino “e ducere”, significa far venire fuori.

Questa è la missione di ogni insegnante: far venire fuori il meglio che c’è in ogni allievo che gli viene affidato.

E’ il “mestiere” che credo in “assoluto” sia tra i più entusiasmanti.

Si contribuisce a plasmare menti e coscienze, a far da guida lungo la strada della “virtute” e della “canoscenza”.

Ripetiamo: non è facile, ma quando con i nostri allievi si crea quella chimica giusta, che è un misto di empatia e di fiducia, si supera qualsiasi ostacolo ed anche gli argomenti più ostici possono essere appresi ed interiorizzati. Il tutto con un processo osmotico tra i soggetti coinvolti, perché se si dà nel contempo si riceve pure.

La nostra Carta Costituzionale con l’art. 3 va anche oltre poiché coinvolge la scuola statale in generale ed i docenti in particolare nel compito di rimuovere “gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. In poche parole affida alla scuola il compito di contribuire alla formazione dei cittadini.

Poi è successo qualcosa di molto brutto nel nostro paese.

Col tempo, lentamente, in forza dell’adesione dell’Italia a trattati internazionali, la Costituzione materiale si è sempre più allontanata dal dettato della Costituzione formale.

Gli altissimi intendimenti ed i principi contenuti in essa sono rimasti per lo più senza una sostanziale attuazione e purtroppo anche le conquiste sociali che grazie ai quei principi i cittadini italiani avevano raggiunto, hanno subito un continuo e progressivo logoramento.

La legge 107/2015, altrimenti conosciuta come la “Buona scuola” di Matteo Renzi, ne è un esempio.

Roboanti le dichiarazioni ispirate al politicamente corretto o al “politacally correct”, come si suole dire oggi, ma in realtà è una legge intrisa di pensiero ordoliberista, dell’economia sociale di mercato fortemente competitiva tanto cara all’U.E, ma che con la scuola statale italiana e le premesse di cui sopra ha ben poco in comune.

Nei confronti di detta legge vivo un profondo e sentito disagio.

Come umile servitore dello stato sono tenuto a rispettarla: “È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato“ tanto riporta in calce la Gazzetta Ufficiale su cui è stata pubblicata, ma come libero pensatore siffatto concentrato di abominii desta in me un profondo moto di ribellione.

Come non ribellarsi se si pensa che la riforma della scuola è stata fatta con un provvedimento su cui è stato posta la fiducia in Parlamento, quasi che questa legge fosse di parte e non riguardasse la società tutta!

Come non indignarsi di fronte ad un “corpus iuris” monstre di un solo articolo e ben 212 commi, che per il contenuto sarebbe più opportuno definire “comi”!

Come non biasimare i legislatori che la hanno concepita come “riforma strutturale”, per ottenere da Bruxelles più flessibilità sui conti pubblici del 2016 e non rispettare così il pareggio di bilancio che essi stessi ci hanno imposto!

Comunque, tra tutte le disposizioni in essa contenute, quella più abietta è la così detta “alternanza scuola-lavoro”, piombata come una iattura su tutte le scuole secondarie di secondo grado e da effettuarsi nell’ultimo triennio presso aziende, imprese, enti, istituzioni e ordini professionali.

Secondo il MIUR l’alternanza è finalizzata alla “comprensione delle attività e dei processi svolti all’interno di una organizzazione per poter fornire i propri servizi o sviluppare i propri prodotti, e dovrebbe favorire lo sviluppo del senso di iniziativa ed imprenditorialità, che significa saper tradurre le idee in azione (concetto questo di sentore vagamente mazziniano n.d.r.). E’ la competenza-chiave europea in cui rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi.

Sono questi i concetti e le motivazioni squisitamente ordoliberiste cui si alludeva poc’anzi, i quali nulla hanno a che vedere con l’educazione. Non si parla certo di cittadini ma di formare forse degli imprenditori!

E non mi soffermo su come la legge 107/2015 faccia strame dell’autonomia scolastica, tutelata dall’articolo 117 della Costituzione, ma sul fatto che sia sideralmente distante da quello che deve fare la scuola e su come artatamente confonda l’addestramento con l’istruzione, sino al limite di giustificare vigliaccamente anche lo sfruttamento minorile.

Ma veniamo ad un fatto di questi giorni.

Come riporta il quotidiano La Nazione, il 6 ottobre 2017 un allievo che frequenta il quarto anno all’istituto professionale Cappellini Sauro di La Spezia, impegnato in una attività di stage presso una ditta spezzina, alla guida di un muletto ne avrebbe perso il controllo e si sarebbe ribaltato nel bel mezzo del piazzale dell’azienda rimanendo schiacciato dal carrello elevatore e riportando la frattura di una tibia.

Di fronte a siffatto accadimento c’è da chiedersi quale legame abbiano queste attività di alternanza con il dettato costituzionale di cui all’art. 3.

Ribadiamo: cosa c’entra l’educazione dei giovani con l’addestramento al lavoro degli stessi ammesso che si possa definire tale l’impiego di mano d’opera non retribuita?

Il 17 ottobre 1967, circa cinquanta anni fa, fu approvata la legge n. 997 in materia di sfruttamento minorile.

Essa sostanzialmente prevede che i bambini di età inferiore a 15 anni non possono svolgere nessuna attività lavorativa, fatta eccezione soltanto per iniziative di carattere culturale, artistico, sportivo, pubblicitario e del settore dello spettacolo.

Dispone altresì che i minorenni di età compresa tra i 15 e i 18 anni non possono svolgere lavori che arresterebbero il loro pieno sviluppo fisico e che, prima di essere avviato al lavoro, il minorenne deve essere sottoposto ad una visita medica preventiva.

Sono passati 50 anni, ma invece di andare avanti nelle conquiste sociali siamo tornati indietro di cento, quando le povere famiglie italiane di inizio novecento mandavano a lavoro i propri adolescenti per un salario pari ad un terzo di quello degli adulti.

Purtroppo è questo il vero obiettivo dell’alternanza scuola-lavoro: abituare i nostri giovani ad essere operai flessibili, senza diritti e senza avere troppe pretese anche perché poi ci sono migliaia di migranti disperati con ancora minori pretese.

La nostra classe governante smantellando le tutele, sempre per avere il consenso dei mercati ovviamente, vuole abituare gli studenti italiani non a lavori umili ma umilianti.

Bel progetto didattico, non c’è che dire, ma assolutamente allineato al pensiero economico corrente.

Pensate che esageri?

Se tra i soggetti aderenti alle convenzioni con il MIUR troviamo a fianco di istituzioni culturali e sportive le più disparate realtà aziendali da Mcdonald’s a Zara fino a Fico Eataly World, la linea di demarcazione tra formazione e lavoro a costo zero è inesistente.

La legge 107/2015 va assolutamente cambiata e spero che questo sia il primo intendimento del prossimo governo democraticamente eletto e non imposto dalla BCE.

Nelle more sarebbe invece molto utile attivare l’alternanza politica-lavoro.

Che vadano a friggere patatine, a spazzare nei supermercati, a lavorare nei call center le fulgide menti che hanno proposto tali leggi salvifiche per i patrii destini.

E siano impegnati in queste attività non per tutta la vita ovviamente, ma almeno per una settimana.

Lo auspico come docente, lo desidero come cittadino.